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ANDREJ KOSIÈ, il pittore


   Per arrivare allo studio bisogna penetrare nel ventre più profondo della vecchia Gorizia, percorrere corridoi e salire erte scalette che paiono inventate da Kafka, per poi spalancare all'improvviso il respiro davanti allo scoppio scioccante della luce, dei colori, del verde più intenso e pur morbidissimo che fa da balcone al castello. E' come salire in pochi attimi dall'ombroso fondavalle in cima a un monte. Andrea Kosiè dipinge qui, quasi in un eremo. Appena può lascia la bottega e gli affari che brulicano, sotto, e mette a fuoco (gli basta poco la tavolazza, il cavaletto, qualche tela o foglio di carta) la sua personalità più intima e geniuna. Lo scenario ha una limpidezza emblematica sconcertante, quasi da rasentare involontariamente la retorica.

   Eppure quanto candore. E soprattutto quanta sincerità (cioè verità), senza forzature , incrostazioni, bardature, civetterie di moda. Guardate questa pittura che affonda le radici in una interpretazione naturalistica innamorata del paesaggio di casa. Non è pittura veneta né friulana, ma qual cosa di autonomo: una pittura del Carso con la sua vegetazione bassa graffiata dalla bora, i rossi infiniti, gli arbusti nervosi, i lunghi muri di sassi, le case magre addossate alla chiesa e poi il gran tuffo nel verde lontano delle colline , e i colori dell'autunno , stagione magica, la stagione più dolce nella quale si mescolano malinconie e profumi amici.

   "L'autunno - dice Kosiè come in un soffio, perché non ama confessarsi: preferisce lasciar parlare i suoi quadri - è il periodo più importante dell'anno. La primavera sboccia e si distrugge subito, bruciata dall'estate; l'autunno è invece eterno… così sembra a me: è la mia piccola filosofia…"

   E così l'autunno è diventato il suo modello. Lo aspetta con ansia, lo desidera, lo corteggia a lungo. Il stsuo studio è una gran orgia di bruni, di terre bruciate, di rossi carminio, cadmio, cinabro.

   Dalle prime foglie ingiallite, all'incendio d'ottobre, alle brume che poco a poco inzuppano ogni cosa, cancellano strade e poi cespugli e poi alberi e poi la collina in fondo. La natura si decompone con una lentezza estenuante ed è bello inseguire con occhi d'innamoramento questo evolversi del tempo. Certi rossi si consumano ma non muoiono: rimangono intatti, fragili, rinsecchiti, anche sotto la neve timida da queste parti. Kosiè lo sa e lo racconta nei suoi quadri che stemperano i bianchi in un ricamo dolcissimo.

   Certi acquarelli fanno ritornare alla memoria Urgos, ma qui la pittura è più intensa e vibrata, il territorio d'indagine più aperto. C'è, sotto, una letteratura e sensibilità slave lievitate dai farmenti che filtrano dalla grande pianura. Un contatto prezioso, mai condizionante. Rimane intatta la carica umana delimitata da solide strutture etniche, da un hinterland di tradizioni e cultura che difende a denti stretti le proprie origini storiche.

   Non c'è ragione di intaccare questo equilibrio così ricco di umori. Come Semeghini e Dalla Zorza cantavano agli orti i canali di Burano, così Kosiè rimane fedele alle saghe della sua terra e ne tramanda colori e paesaggi. Uno scenario di struggente poesia. Roberto Joos

   Andrea Kosiè: ecco un artista del quale bisogna subito sottolineare una coerenza artistica che coincide con quella morale. Apparato ma tutt'altro che privo di informazioni, tenace nell'affiatamento della propria espressione ma capacissimo di estri improvvisi, gli sarebbe facile <>, piegare la propria maturità ai linguaggi esoterici che mandano in visibilio gli assertori delle necessità del <> a ogni costo, potrebbe offrirci prodotti che impegnerebbero i criticist in astruse discettazioni intorno a risposte simbologie e in interpretazioni di cui i primi a non essere convinti sarebbero essi stessi. Tutto ciò Kosiè non l'ha mai fatto e non lo farà mai, perché nutre una naturale repulsione per tutti coloro che sono disposti a cambiare la propria ricerca con la stessa facilità con cui ci si disfà di un abito vecchio e venderebbero l'anima al diavolo pur di rimanere sulla cresta dell'onda, che è dire - nella fattispecie - voler essere considerati nella schiera delle punte avanzate, dei portatori di nuovi messaggi. Kosiè sa perfettamente che, se commettesse l'errore di tradire sé stesso, subirebbe implacabilmente l'identico destinto che l'intelligenza e la sensibilità del pubblico - sempre più provveduto di quanto comunemente si creda - riserbano a quanti contrabbandano la propria mancanza di autenticità infilando la maschera dell'avanguardia: la perdita della credibilità. Talchè Kosiè, pittore che opera in umiltà e in silenzio, risulta alla fine anche saggio e avveduto, oltre che genuino.Certo, l'artista goriziano ha sposato istintivamente la causa del postimpressionismo; per una deliberata scelta della quale non è chiamato a rendere conto a nessuno se non a sé stesso (meschino davvero l'artista che si sottopone ai condizionamenti delle mode e dei gusti), non è andato oltre la soglia del vedutismo; e non mancherà - c'è da giurarlo - chi osserverà che la sua pittura non ha conti aperti con tendenze dell'arte contemporanea. Ma può costituire un atto d'accusa il fatto di operare in una determinata direzione anziché in un'altra delle infinite possibili?Il discorso sulla pittura di Kosiè non può e non deve fermarsi al tempo e al modo di cui essa genericamente rimanda; deve incentrarsi su quanto di personale, di autonomo, la sua pittura ci affida: perché in Kosiè non c'è copia (ne, tanto meno, c'è calco) da autori del secolo scorso, anche se è indubbio che essi hanno esercitato la loro influenza, persino il loro peso, sulla sua formazione. Sarebbe senz'altro utile, almeno per il pubblico, una mostra che fornisse anche una visione retrospettiva del lavoro di Kosiè, il quale opera da molti anni con una serietà e con una costanza esemplari : sarebbe agevole, in tal modo, riscontrare le progressioni, confrontare i risultati dagli esordi a tutt'oggi. E si avrebbe la lieta sorpresa di constatazione che la pittura di Kosiè e approfondata al colloquio diretto con l'osservatore, a elidere qualsiasi intermediario, in virtù delle capacità dell'artista di appropriarsi del reale con tutte le radici dell'anima, ma non per illuminazioni improvvise, per folgorazioni traumatizzanti, bensì con un lavoro assiduo, metodico: una sorta di corteggiamento amoroso.

   Affermare che Kosiè ama la natura è conclamare una verità così evidente da risultare banale; ma tutt'altro che ovvia è la commissione) che gli angoli del Collio e del Carso stabiliscono, attraverso la tela, con l'osservatore anche più allergico ai richiami sereni o solenni del paesaggio. Perché Kosiè rappresenta, sì, nei suoi quadri, un paesaggio che gli è familiare, che ha osservato e contemplato a lungo, sino a fare di esso un'esatta geografia (o topografia, se si preferisca) dell'anima, un nutrimento del suo essere artista; ma quel paesaggio ha la capacità di instaurare un rapporto anche con noi, quei verdi attraversano quali esso si modula (dando insieme la misura della bravura - e, perché no?, della maestria - di Kosiè) si imprimono nella memoria, vi si irretiscono: perché sono inconfondibili. Quando un artista - soprattutto ai giorni nostri, in cui centinaia e centinaia di quadri non hanno la forza di rimanere nella nostra rètina più dei pochi istanti dell'osservazione diretta - ottenga il risultato di affidare un duraturo ricordo delle sue opere e di far coincidere con esse il proprio nome,st appunto perché non procede per tentativi o per salti, ma punta sulla coerenza e sull'approfondimento dei motivi che più gli sono intimi e necessari, quell'artista può essere soddisfatto di se e del proprio lavoro. Andrea Kosiè appartiene a questa razza di artisti: che, a ben riflettere, non sono poi molti. Dino Menichini

   Espressione essenziale per la continuità del dialogo, che ne emerge - quella del pittore Kosiè - è di vivo interesse, anche per la coloristica piena di luce, che riferisce ad infondere in ogni sua opera. Vitalizzando i suoi paesaggi, rende maggiormente leggibile il tema risolto con dovizia di mezzi espressionistici, basati essenzialmente su di una preparazione figurativa. Con queste due opere - che ben selezionate, figurano ottimamente nella grande esposizione presentata nel celebre e antico museo marsigliese - l'Artista ci offre la sua più valida forma espressionistica e si rende aperto alla più attenta analisi critica. Nel paesaggio, crediamo poter rilevare, egli dispone di più larghi orizzonti, di formule rispondenti alla sua estrosità, ed in modo particolare alla velatura del colore, che è essenzialità in ogni sua opera. Così che il paesaggio, lo vede artista affermato, e noi teniamo a sottolineare questo valore contenutistico, perché è indispensabile per il cammino del suo domani. E non potremmo concludere questa nostra analisi senza dare motivo di apprezzamento, al figuratismo che egli domina, in ogni espressione in ogni linea, facendo percorrere questa sua duttilità personale, con l'affiancamento del colore, che nei toni è di lucentezza e di una fedeltà al soggetto, tanto da far trasparire di ombra e piani, l'insieme a noi proposto. Un paesaggista che, amando innanzitutto il soggetto, e lo stesso tema, ne congiunge valori e momenti lirici, per racchiuderli in ogni sua opera cromaticamente personale e viva. Gèrard Boulanger (Marsestille - giugno 1978)

... dai primia paesaggi acri nel colore, e pittosto legnosi, alle attuali vedute di campi accesi nel sole sotto un cielo mosso, Kosiè è giunto attraverso una puntigliosa messa appunto dei propri mezzi, riuscendo ad ammorbidire la pittura, a renderla più cordiale. (Fulvio Monai, il Piccolo 03/06/1965)

… l'originalità è nel gioioso equilibrio fra l'impressionismo e il liberty: più il primo nell'impianto complessivo del quadro, più il secondo nella tessitura delle fronde autunnali delle pietre sui muretti a secco, nelle frastagliate chiazze dei residui nevosi. In tal modo la nitida definizione di alcuni elementi del paesaggio fornisce le strutture portanti della composizione… (Giulio Montero, il Piccolo 17/03/1979)

… c'è sotto una letteratura e una sensibilità slave lievitate dai fermenti che filtrano dalla grande pianura. Un contatto prezioso, mai condizionante. Rimane intatta la carica umana delimitata da solide strutture etniche, da un "hinterland" di tradizioni e cultura che difende a denti stretti le proprie origini storiche… (Roberto Joos, Orizzonti 09/1979)


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